Il Declino

Lamentarsi del declino imperante sembra essere diventata l’abitudine più diffusa in questi tempi di crisi.  Declino economico,  culturale, morale, politico, sociale, artistico. Si lamentano del declino morale e culturale dell’Italia scrittori autorizzati, opinionisti preregistrati, cupe vallette di regime,  commentatori di partite di calcio, filosofi, psicologi e sociologi di scuole innumerevoli, tifosi delle curve in fissa col fantomatico calcio di una volta, donne in politica elette con le quote rosa e terribilmente somiglianti all’effigie delle sante dei santini, l’uomo della strada anche lui si lamenta, l’uomo qualunque si lamenta, si lamentano tutti, tutti hanno un’età dell’oro nascosta in qualche remota zona della propria immaginazione.

Tutta questa lamentatio fa venire il voltastomaco.


Ma quando a parlare del declino è un rappresentante della macchina dell’industria culturale, dall’interno di quella macchina che può essere legittimamente considerata tra le reali e principali responsabili di quel declino che è comodo vedere e sul quale è ancor più comodo speculare, con la pagnottona di pan bianco pagata coi soldi di chi quel declino l’ha imbastito e colorato e reso appetibile per questa grande massa di uomini e donne appena uscita dall’arcaico mondo di “prima della guerra”, quando a parlare è un qualsiasi intellettuale organico al sistema cultura dominante, il trucco diventa evidente.
Quel Declino di cui tanto si parla non è di ognuno. Quel Declino è principalmente di chi lo sottolinea e sottolineandolo si rende strumento del declino stesso, l’accurato strumento di precisione del sistema cultura che, negando sé stesso, fa ammenda e lavacro bastevoli per ulteriori e più energiche spinte sulla leva del declino, ma al contempo non fa eccezione e si fa conferma umana dell’adagio solito “tanto alla fine siamo tutti uguali…”.

L’ossessione del declino è essa stessa declino.

Sia che si tratti di paura per il non più ripercorribile divario con l’arcadia che molti custodiscono nel cuore, sia che si tratti dell’ossessione per un’idea di progresso che prevede un avvenire ipotetico ormai non più raggiungibile a causa dell’abbrutimento dell’uomo contemporaneo. 
Il vero declino personale è non essere capaci di  pensare al proprio presente senza dover sposare la rassegnazione,  il cinismo spicciolo, la spregiudicatezza, la simpatia infingarda del piazzista di bond, il sorriso dell’uomo copertina (vedi foto), la performatività, la mancanza d’entusiasmo e di volontà. Volontà principalmente di praticare forme d’esistenza diverse da quelle declinanti da cui nessuno di questi lamentanti di professione sembra volersi veramente dissociare. Secondo la ben nota strategia che prevede di mettere in discussione il fenomeno (che può essere conveniente) senza avere il coraggio di mettere in discussione la causa (che può essere sconveniente).

 

Sorriso?

 

dissenso

Intermodalità pt. 2 | facciamo due conti

in relazione con: “i miei primi due mesi…”

Ritorno sul tema dell’intermodalità, questa volta per fare un po’ di conti approssimativi dopo i primi quattro mesi di pendolarismo quotidiano in bicicletta. Conti che potrebbero deporre definitivamente a favore della transizione verso una vita libera dell’obbligo dell’automobile individuale e trovare del consenso nel potenziale lettore che potenzialmente potrebbe imbattersi in questa mia personale narrazione.
La bicicletta in questione (Dahon Vitesse D8) è costata sui 500 euro. Avrei potuto spendere meno, ma avrei anche potuto spendere di più, per esempio comprando una Brompton. Dal momento che non si compra ogni giorno un mezzo di locomozione ho scelto un oggetto di qualità. L’argomentazione classica del collega motorizzato è: e se poi te la rubano? La controargomentazione viene spontanea: e se invece a te l’auto per cui hai stipulato un contratto di finanziamento in 120 mesi te la picchiano e per due ore di manodopera il carrozziere ti chiede 3500 euro e ti senti avvilito e povero ad andare in giro con la macchina coi bozzi? È un discorso da non cominciare nemmeno…

Le possibilità che ti rubino la bicicletta pieghevole diminuiscono sensibilmente perché la bicicletta ti segue fedelmente fino a destinazione, lontano dai ladri di biciclette e nel caso mio diminuiscono ancora di più perché io la bicicletta “la bado come un cocomeraio”1. Ma questo è un altro discorso. Torniamo ai conti.

Per semplicità utilizzerò come esempio il tragitto Pistoia – Sesto Fiorentino – Pistoia, che è quello che per sette anni ho percorso io per cinque giorni alla settimana. Sono circa settanta chilometri. Si può fare in strada normale o in autostrada, ma io calcolerò il costo totale comprensivo dei pedaggi autostradali perché fare il pendolare utilizzando la provinciale significa bestemmiare tutti i giorni e odiare tutti quelli che stanno in macchina davanti a te e dietro a te e anche te stesso dentro la tua macchina.

Nella migliore delle ipotesi, o nella peggiore per chi senta molto forte il richiamo dell’auto come status symbol e si sentirebbe sminuito dal possedere e farsi vedere con una utilitaria, quella in cui si possieda un’auto di piccola cilindrata, alimentata a gas e dai consumi limitati, non si potranno spendere mai meno di 25 euro a settimana per il carburante (gpl + benzina) ed è una stima al ribasso. Aggiungendo il costo del pedaggio (1,90 x 2 = 3,80 Euro) per una media di cinque giorni lavorativi a settimana si arriva a 44 euro a settimana. E arriviamo a un totale di circa 200 euro di spese mensili solo per riuscire a raggiungere il lavoro.

A un certo punto, finita l’epoca dell’automobile condivisa, mi sono sembrati troppi.

200 euro senza calcolare l’usura macchina, l’usura gomme, l’usura e conseguente rottura dei coglioni, la svalutazione costante del mezzo, l’intollerabile rischio di finire dentro a ingorghi interminabili mentre c’avevi quell’appuntamento importante, la degustazione di vini della Linguadoca, un cineforum e via e via…

Calcolando che l’abbinamento mensile per la tratta Pistoia – Sesto Fiorentino costa 55 euro (senza agevolazioni Isee) il calcolo è presto fatto. In quattro mesi la bicicletta è stata ripagata e senza nessun bisogno di fare ulteriori conti c’è un disavanzo positivo di circa 200 euro. Che crescerà.

Certo, c’è da prendere un po’ d’acqua, anche molta. Oggi, ad esempio, chi sta finendo di scrivere questo post ne prenderà molta, ma con un buon equipaggiamento si smette di farci caso. C’è da prestare molta attenzione agli automobilisti, alle zie col Suv sovradimensionato rispetto alle capacità cognitivo/motorie e ai tempi di reazione, c’è da prestare attenzione alle buche nelle strade, ma niente in confronto alla disgrazia di dover passare del tempo, per giunta pagando, dentro un’auto senza poter fare niente se non ascoltare la playlist, il giornale radio, uno speaker idiota.

Si arriva anche alla terza parte di questo mio excursus sull’Intermodalità, quella sui libri letti sul treno e sulle panchine delle stazioni. Che sono molti di più di quelli che uno riuscirebbe a immaginare. Una terza parte in estensione di cui si può raccontare solo una parte ed immaginare la seguente. Ci ritornerò.

Dahon Vitesse Folding Bike
La nuova Dahon Vitesse alla luce del Sole.
passato e presente | kobo ebook reader
passato e presente | kobo ebook reader

 


1. “Badare come un Cocomeraio” è una classica espressione pistoiese che sottolinea l’attenzione prestata a oggetti o persone, paragonandola a quella, proverbiale, che il cocomeraio presta ai propri cocomeri nel suo chiosco estivo.

 

I miei primi due mesi da viaggiatore intermodale

segue da “i miei primi due mesi…”

Dal giorno 7 ottobre 2013, sono quindi ormai più di due mesi, chi scrive è passato all’intermodalità. Nonostante la bicicletta sia il mio mezzo preferito fin dall’infanzia, ho capito con nuova intensità quali attitudini siano necessarie al ciclista che voglia muoversi nel traffico urbano. Al ciclista sono necessarie le seguenti cose: risolutezza, coraggio, capacità di anticipare le mosse altrui. Spesso potrebbe rivelarsi utile un’arma per terminare i guidatori di suv, i disattenti e gli instancabili del telefono. Che talvolta sono la stessa persona.

Se vi chiedete perché ve lo racconto la risposta è semplice. Perché la decisione di cambiare radicalmente modo di spostarsi nel mondo è entrata direttamente nel novero delle Decisioni Venute Bene. Questo a prescindere dal fatto che la mia decisione possa interessare qualcuno o spingere qualcun altro verso una decisione presa bene. Come queste che seguono:

  1. Smettere di fumare
  2. Non avere un apparecchio televisivo o tenerlo spento
  3. Non possedere più un’automobile (da perfezionare)
  4. Bere solo vino di qualità
  5. Studiare
  6. Evitare di iscriversi al PD o a Sel
  7. Mantenersi entusiasti
  8. Autoironia

Passare all’intermodalità significa smettere di utilizzare l’automobile e cercare di andare a lavorare con un mix di mezzi di locomozione che prevede l’uso della bicicletta. Facile per chi deve solo attraversare una cittadina come Pistoia (mappa), più difficile per chi, come me e molti altri sfortunati, deve raggiungere il Nulla (mappa). Per raggiungere il nulla si impone la scelta di Bicicletta + Treno. All’inizio ho usato una vecchia Mountain Bike per testare le gambe, la resistenza alla pioggia, al gelo mattutino e serale e poi, vista la tenuta dello spirito e della gamba, ho acquistato una fantastica folding bike nera. Una Dahon Vitesse con cui al momento ogni giorno vado e torno dal lavoro (con l’ausilio del treno altrimenti non sarebbe trasporto intermodale, ma un lungo allenamento da ciclista semiprofessionista). Si risparmiano risorse private ed energetiche, si può valutare la possibilità di impiegare il tempo altrimenti passato a guidare e a incolonnarsi nervosamente nel traffico delle ore di punta, a leggere, scrivere, dormire, pensare, etc… , si può legittimamente auspicare un futuro prossimo con molti ciclisti e meno autisti con tempi di reazione vicino allo zero alla guida di carrozzoni al limite della manovrabilità. Più sostenibilità e meno zie col suv in zona pedonale. Meno disoccupati e più ciclofficine,  meno smog e gambe più allenate.

La mia nuova folding bike Dahon sulla linea gialla della pensilina di Sesto.
La mia nuova folding bike Dahon sulla linea gialla della pensilina di Sesto.

13 anni di lavoro pendolare. E in tredici anni di autostrada ci si fanno molte domande. Negli ultimi sette anni, circa 70 km al giorno, due automobili all’esaurimento e frequenti domande sull’opportunità di continuare nell’uso pernicioso dell’automobile. Domande sul costo reale del possesso di un autoveicolo e su quanto sia utile in relazione al suo costo. Se qualcuno ha una formula per calcolare il costo esatto me la faccia avere. Io nel frattempo ho fatto un conto basato sull’osservazione ed è lampante che comprare un auto è antieconomico. Non è come comprare un orologio di qualità, un quadro d’autore o una cassetta di vini pregiati. L’auto perde inesorabilmente valore, fino a non valere nulla, anzi meno di nulla (costo della rottamazione). Comprare un’auto è una cazzata. E se uno guadagna poco è una cazzata ancora più grande.

 

Dahon Vitesse Folding Bike
La nuova Dahon Vitesse alla luce del Sole.

Meglio star senza. A chi vorrebbe domandare “ma come si fa?” mi verrebbe di rispondere “pensaci un po’. fai due conti e respira…”.  Non sempre ciò che sembra necessario risulta esserlo dopo un attento esame. L’importante è prendersi quei 10 minuti di tempo per pensarci.

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Cose imparate da un’Alluvione | 21 ottobre 2013 Pistoia

Imparare dall’Alluvione

Si imparano molte cose dall’esperienza di un’alluvione. Con tutto il rispetto e facendo tutte le dovute differenze con chi da un’alluvione si è visto strappare tutto il molto o il poco accantonato in una vita di sacrifici (o anche senza sacrifici, la distinzione è inutilmente e strumentalmente ideologica). O più ancora con chi a causa di un’alluvione ha perso la vita e non può stare a raccontare cosa avrebbe fatto volentieri il giorno dopo. Ma, con buona pace di tutti quelli che non perdono mai l’occasione per tacere e intimano al prossimo il silenzio per motivi di opportunità mai ben spiegati, io vi racconto della mia alluvione. Vi racconto cosa ho imparato da quelle sei ore fuori da ogni schema che ti lasciano con 140 cm di acqua e fango in casa.
Ho imparato non tanto, come si usa ripetere in questi casi, quanto si è piccoli e impotenti e inefficaci di fronte alle forze della natura, che per questo erano bastanti tutte le dimostrazioni, le morti, le disgrazie pregresse e le inefficacie lampanti dei 43 anni già passati in compagnia di umani di ogni tipo e in situazioni limite, ma quanto siano fondamentali la solidarietà e l’aiuto gratuito di chi compone la tua rete sociale. Che l’apparente impraticabilità di ogni strategia, che all’inizio rende difficile elaborare una risposta sensata, si dimostra minuto dopo minuto sempre più apparente e sempre meno impraticabile e, man mano che gli amici si sostituiscono, quando alla pala, quando al trasporto di oggetti irriconoscibili, quando al secchio e alla spugna, quando alla battuta di spirito che riporta il non ordinario alla terra, sempre più un problema faticoso che un poco alla volta si risolve.
Ho imparato che la parola Comunità, che viene spesso usata per rimarcarne l’assenza e un bisogno diffuso, ha davvero a che fare con qualcosa di morto. Con un sentire senza tempo seppellito dalle ideologie e dalla schadenfreude. Se esistesse ancora un sentire comunitario i vicini di casa avrebbero osato varcare il cancello di casa e, oltre a osservare il fango e pronunziare qualche frase di circostanza, ringraziando al contempo il maltempo per aver colpito l’altrui dimora, avrebbero aiutato, anche poco, quanto consentito dalle capacità, dal tempo, a sgomberare l’allagato, a spostare qualche mobile restituito dall’acqua gonfio e inutilizzabile. Avrebbero provveduto a rinforzare il conforto verbale con una Moka di caffè rovente.
Tutto questo non accade.

Alluvione a Pistoia | 21 ottobre 2013
Alluvione a Pistoia del 21 ottobre 2013 – una visione personale

Ho imparato che restituire alla vita quotidiana una casa alluvionata è la cosa più faticosa mai fatta. Che le istituzioni non esistono. Non esistono prima, non esistono durante, non esistono dopo. Non esistono prima, nella scriteriata gestione del territorio, non esistono durante, nella loro totale assenza dalla scena, non esistono dopo nel mancare l’occasione di cambiare finalmente orientamento nella gestione del territorio. L’unico atto istituzionale pervenuto è la distribuzione dei moduli per la richiesta danni.

Alluvione a Pistoia del 21 ottobre 2013
Alluvione a Pistoia del 21 ottobre 2013 – una autoironica visione personale

Ho re-imparato che la colpa muore fanciulla, ma al contempo si è giaciuta con molti. Che è meglio fare prima che spalare poi. Che ogni fenomeno ha un suono che è il proprio e l’alluvione non fa eccezione. Quando alle tre di notte l’ho ascoltato per la prima volta in vita mia sapevo che era esattamente il suono dell’alluvione. Che far funzionare il cervello al ritmo di salita del livello dell’acqua non è facile e così, col fango al ginocchio, nel buio rischiarato da una minitorcia tenuta in bocca, ci si affretta per salvare qualcosa, ma non si riesce a pensare cosa salvare, molto è già finito sott’acqua, il resto è nel buio, ciò che resta visibile è troppo grande per le braccia di un uomo solo. Così si finisce per salvare ciò che è vicino alle scale, qualcosa che galleggia, prima di desistere per paura di rimanere sotto un mobile.

 

Alluvione a Pistoia | 21 ottobre 2013
Alluvione a Pistoia del 21 ottobre 2013 – una visione personale

 

Come scriveva Nietzsche, e diceva il signor Geiser ne “L’Uomo nell’Olocene” di Max Frisch, bisogna essere pronti a tutto. Soprattutto quando sembra non essercene bisogno.

 

L’Accolita di Stronzi | adulti e bullismo

 

Il numero più gettonato in sala mensa, dunque lo spettacolino gratuito a cui capita più spesso di assistere, è l’accolita di stronzi inqualificabili (non è un giudizio morale legato al loro comportamento, ma solo un riferimento al loro essere privi di qualsiasi qualità) riuniti allo scopo di infierire sul collega più debole che manifesta apertamente segni di instabilità e disagio.
La storia è sempre uguale.
Se prima la triade sociale di avviamento all’ubbidienza e alla sottomissione era composta da scuola-caserma-lavoro con la giunta prodromica ed eventuale della famiglia, adesso, terminata la leva obbligatoria, si potrebbe comporre compiutamente con l’ausilio dei mass media.
In un progetto apparentemente e superficialmente liberale e permissivo che mina nel profondo le capacità degli individui, forzandoli in una dimensione prestazionale e performativa che prevede lo spostamento dell’asticella sempre più in alto e rende gli standard di resa inaccettabili.
Si finisce dunque in sala mensa ad osservare quattro imbecilli che, voglio precisare, da nessun punto di vista potrebbero essere considerati migliori della loro vittima, torturare un povero sciagurato che non trova nessun altro modo di farsi riconoscere se non nel farsi torturare. Nessuno sembra farci caso, nessuno sembra infastidito, ogni tanto qualcuno che ha finito di pranzare passa vicino al tavolo e partecipa al linciaggio con una nuova battuta diretta alla vittima designata.
La scena non è nuova. Ma si finisce lì, tentati dall’intervento pur consapevoli delle conseguenze e dei rischi per aver cominciato a intervenire trent’anni prima. Della pericolosità insita nell’intervento contro degli adulti non recuperabili e completamente incapaci di autoemendarsi (l’ultima volta che ci ho provato mi è stato detto amabilmente di farmi i cazzi miei perché non siamo tutti uguali, la penultima volta alla fine c’è stata una rissa). Consapevoli che un sistema di relazioni si compone di due parti almeno e che la parte debole è funzionale alla buona riuscita del tutto. Nella certezza che la supposta, solo supposta, umana disposizione alla violenza e alla sopraffazione sia solo fondamentalmente necessaria all’ordine e che per la legittima difesa dell’alterità siano necessarie una violenza e un rigore ferrei che, pur non modificando nulla nel contesto socioculturale, fungano da deterrente e talvolta, visto l’esito cattivo della funzione primaria, colpiscano direttamente al bersaglio.
Come scriveva il sapiente Elemire Zolla, dovunque l’uomo sia costretto a fare massa, isolato fra altri del pari isolati,  il sadismo affiora.
Se fosse un film, una commedia socialdemocratica ad esempio, avrebbe un lieto, edificante e consolatorio finale. La sceneggiatura potrebbe prevedere l’apparizione di un’orchestra che, apparendo all’improvviso dalla sala cucine, andasse a circondare i quattro stronzi sottolineando, nel pieno dei rumori della cucina e del brusio dei lavoratori, il deprecabile comportamento rassicurando così lo spettatore, liberandolo al contempo dal senso di colpa, sulla possibilità di una forma di solidarietà senza rischi e impegno e di una vendetta riabilitante.
Se fosse un film. Una commedia socialdemocratica, ad esempio.

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30 agosto 2013