Chiamata telefonica dalla Zona Rossa

Chiamata telefonica dalla Zona Rossa

Pronto?
Pronto? Che giorno è?
Ho udito la voce di mio padre nel vento
radente mentre censivo il ghiaìno
del sentiero ribattuto nei giorni
lithomanzia segreta che trama disgrazia,
rogna e collane di sbadigli per la guerra
che viene in attesa che l’attesa
trovasse il motivo, ma il tempo
è una melassa che distilla virtù
obbedienza, coda di vinacce esauste
dai Solocorpo percóla l’odiopaura
l’elemento base del raggiro eccezione…
Come stai?
La messaggeria è la casa dei morti
tutto si è spento in un grumo di impronte
le bottiglie vuote si assembrano
il passo è perduto, nell’isolamento è bene
evitare l’alcool e l’isolamento,
nel rifugio di canne e pietre per calcolare
il peso esatto dell’amputazione taciuta
questa differenza immaginabile tra il prima
e il poi o viceversa tra quanto spettante
e quanto restante…
Che fai?
Seduto accanto al rosmarino tra le api
punto il telescopio verso the next place
i suoi abitanti essi sono cambiati
la vita solo corpo, grugnito e delazione
le visioni da sussuro diventano fiumana
l’esperto in simulazioni di scenario tradisce
tra le righe di un discorso sicuro
l’inettitudine, la paura di non essere compreso,
la termite nella zampa dello sgabello
lo scivolo sul nulla truccato da salvezza
l’articolo tarocco apparentemente
gratis.

La città sembra deserta

La citta sembra deserta. C’è già stato il lockdown? È già stato dichiarato l’attacco alieno? Ma sapete cosa mi fa più terrore? La bipolarità, la dissonanza evidente dell’Occidente, di questa moltitudine di scemi che un giorno è Charlie e difende il diritto di essere offensivi, dissacranti, provocatori, di fare ironia insopportabile su morti, disgrazie, segmenti di umanità penalizzati, sul sentimento religioso, su qualunque cosa, ma il giorno dopo si spaventa per l’uso di alcune parole, vede sessismo, esclusione, razzismo ovunque, punta l’indice contro la facile ironia social di gente semplice e rozza, ma soprattutto ha paura delle parole. L’altrui paura delle parole mi spaventa. Più del Covid e della Peste Bubbonica.

Caravaggio al Circolino

Briài agricoli al circolo ragionano di pittura. Sento fare i nomi di Caravaggio, Ligabue e Goghèn. Il primo è il preferito perché frocio, alcolizzato e pluriomicida. Convengono però tutti sul fatto che i veri disturbati son quelli che spendono 30000 euri per un quadro. Ma da Caravaggio a Pacciani il passo è breve. Ed è lì che comincia il vero spettacolo che non si può narrare.

Gli eroismi gratuiti

Non c’è niente che rinnovi e migliori il disamore per il lavoro quanto i racconti dei vari eroismi gratuiti di chi ha lavorato con la gamba rotta, con la vista accecata dalla tormenta, immobilizzato e circondato dagli antropofagi, con la febbre a 43° e soprattutto sempre circondato da gente che non lavorava.

Nella casa ormai vivono i Ragni

Ormai vivono i ragni nella casa
dove torno a scovare ricordi, reverberi
e reperti d’un tempo che abitammo.
Alcuni vivi, altri bambini, tutti fummo lì.
Torno a cercare cancellando echi
tracce, ogni resto d’umano passaggio.
Il furgone a nolo nella strada, il cacciavite nella tasca,
non è l’armadio a scomparire,
non le foto di soldati e giovinette d’anteguerra,
non il buon servito per i pranzi
e la gioia d’esserci di gente scampata
agli stermìni, alla fame, alle guerre.
Tutto finisce nell’incerto padiglione.
Smontare, sradicare, eliminare, i convenuti
tradiscono l’uggia nella cernita dei tanàcchi.
Loro non lasciarono niente nella casa
era l’estate del settantanove
non lasciarono il canto liberatore
non lasciarono Il boato che fa
scoprirsi vero, forbici e nastro adesivo,
ci fu chi emerse ente minuto
cacciatore di segni nel tutto inconosciuto
smisurato che arresta il respiro
a chi si affaccia, al nuovo arrivato.
Loro non cercano, smobilitano.
Ben prima dell’estinzione scomparve
ogni traccia del vivere, degli affetti
passati e in corso. Tutto divenne crosta,
ciància vile spesa dai rimasti.
Non lasciarono nulla perciò essi non cercano.
Per loro tutto è disturbo e ruménta,
intralcio alla gara, e solo io sento il suono
della radio a transistor nella mattina di giugno
del giugno millenovecentosettantanove
gracchiare comunicati e canzoni
accompagnare alla vita, a una felicità esile
e inossidabile.