Le dimenticanze, le inadempienze e la morte sul lavoro

Non passano nemmeno 24 ore e alla morte di Luana segue la morte in fabbrica di Christian Martinelli, 49 anni e una famiglia, preoccupato perché al lavoro erano in pochi.

A uccidere il lavoratore non sono le dimenticanze e le inadempienze. È bensì la cultura e il contesto di valori e finti valori che ne determinano la loro affermazione come standard non rivelato, perseguito strenuamente.

Quando il vostro responsabile vi parla di resilienza, di eroismo, di disciplina non crederete mica che parli sul serio? La cosa importante è il premio produzione che prendono lui e chi per lui. Dietro un morto sul lavoro spesso c’è una figura che lima tutti i costi, compresi quelli per la sicurezza, che non sono i corsi, i cartelli, ma una equa distribuzione del carico di lavoro. È giusto odiare queste figure dentro le quali alberga un uomo che magari tiene famiglia, ma che non dovremmo in nessun modo giustificare. Lo dovremmo odiare.

Prima di rinunciare all’odio perché non è riformista e moderato pensate sempre al premio produzione di chi taglia i costi.

Più odio e meno fotografie.

I poponi e i ramarri

In ogni discussione tra colleghi, è inevitabile, arriva sempre qualcuno che ha scavato a mani nude nella miniera di diamanti, che ha guidato il bilico per 179 ore consecutive, che a 50 anni ha 44 anni di contributi, che ha fatto guerra di trincea sopravvivendo e utilizza queste sue sovrumane fatiche come paradigma per valutare l’intensità delle altrui difficoltà lavorative. Una furia dialettica alimentata da numerosi “sai una sega te!” e altrettanto innumerevoli “vai a sentire, vai! Alla bastianacci e shostakovich come si lavorava…” Dove ovviamente si rischiava di morire ogni minuto.

Racconti che tracciano scenari che sembrano strappati alle scene più strazianti de “Il salario della paura”.

E invece hanno movimentato i poponi per tutta la vita.
I poponi e i ramarri.

Fonte: Opera propria (© Jared C. Benedict)
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La Produttività (è principalmente una parola abusata)

Da un lato c’è chi pensa che la produttività sia direttamente proporzionale ai movimenti/minuto degli addetti (i lavoratori), intesi come gruppo non qualificato e privo di identità e caratteristiche singolari. Dall’altro, chi crede che la difesa dei diritti equivalga alla conservazione delle esenzioni e dei privilegi, senza nessuna attenzione per il rispetto delle regole su cui ogni società democratica si regge.

Nel mezzo c’è il disagio e subito accanto al disagio c’è una sacca di economia autoreferenziale, fondata sulla sussistenza del disagio, abitata dai veri parassiti del sistema economico italiano.

Calcolando lo spazio occupato dalla malavita organizzata, dall’informazione, dalla controinformazione, dagli agenti dei servizi, dai venditori e dai compratori di servizi e dottrine riconducibili alla new age e partendo dalla volontà di non appartenere a nessuno dei gruppi succitati, sembrerebbero essersi esauriti lo spazio fisico e lo spazio metaforico.

Fonte: Opera propria (© Jared C. Benedict)
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