Intermodalità pt. 2 | facciamo due conti

in relazione con: “i miei primi due mesi…”

Ritorno sul tema dell’intermodalità, questa volta per fare un po’ di conti approssimativi dopo i primi quattro mesi di pendolarismo quotidiano in bicicletta. Conti che potrebbero deporre definitivamente a favore della transizione verso una vita libera dell’obbligo dell’automobile individuale e trovare del consenso nel potenziale lettore che potenzialmente potrebbe imbattersi in questa mia personale narrazione.
La bicicletta in questione (Dahon Vitesse D8) è costata sui 500 euro. Avrei potuto spendere meno, ma avrei anche potuto spendere di più, per esempio comprando una Brompton. Dal momento che non si compra ogni giorno un mezzo di locomozione ho scelto un oggetto di qualità. L’argomentazione classica del collega motorizzato è: e se poi te la rubano? La controargomentazione viene spontanea: e se invece a te l’auto per cui hai stipulato un contratto di finanziamento in 120 mesi te la picchiano e per due ore di manodopera il carrozziere ti chiede 3500 euro e ti senti avvilito e povero ad andare in giro con la macchina coi bozzi? È un discorso da non cominciare nemmeno…

Le possibilità che ti rubino la bicicletta pieghevole diminuiscono sensibilmente perché la bicicletta ti segue fedelmente fino a destinazione, lontano dai ladri di biciclette e nel caso mio diminuiscono ancora di più perché io la bicicletta “la bado come un cocomeraio”1. Ma questo è un altro discorso. Torniamo ai conti.

Per semplicità utilizzerò come esempio il tragitto Pistoia – Sesto Fiorentino – Pistoia, che è quello che per sette anni ho percorso io per cinque giorni alla settimana. Sono circa settanta chilometri. Si può fare in strada normale o in autostrada, ma io calcolerò il costo totale comprensivo dei pedaggi autostradali perché fare il pendolare utilizzando la provinciale significa bestemmiare tutti i giorni e odiare tutti quelli che stanno in macchina davanti a te e dietro a te e anche te stesso dentro la tua macchina.

Nella migliore delle ipotesi, o nella peggiore per chi senta molto forte il richiamo dell’auto come status symbol e si sentirebbe sminuito dal possedere e farsi vedere con una utilitaria, quella in cui si possieda un’auto di piccola cilindrata, alimentata a gas e dai consumi limitati, non si potranno spendere mai meno di 25 euro a settimana per il carburante (gpl + benzina) ed è una stima al ribasso. Aggiungendo il costo del pedaggio (1,90 x 2 = 3,80 Euro) per una media di cinque giorni lavorativi a settimana si arriva a 44 euro a settimana. E arriviamo a un totale di circa 200 euro di spese mensili solo per riuscire a raggiungere il lavoro.

A un certo punto, finita l’epoca dell’automobile condivisa, mi sono sembrati troppi.

200 euro senza calcolare l’usura macchina, l’usura gomme, l’usura e conseguente rottura dei coglioni, la svalutazione costante del mezzo, l’intollerabile rischio di finire dentro a ingorghi interminabili mentre c’avevi quell’appuntamento importante, la degustazione di vini della Linguadoca, un cineforum e via e via…

Calcolando che l’abbinamento mensile per la tratta Pistoia – Sesto Fiorentino costa 55 euro (senza agevolazioni Isee) il calcolo è presto fatto. In quattro mesi la bicicletta è stata ripagata e senza nessun bisogno di fare ulteriori conti c’è un disavanzo positivo di circa 200 euro. Che crescerà.

Certo, c’è da prendere un po’ d’acqua, anche molta. Oggi, ad esempio, chi sta finendo di scrivere questo post ne prenderà molta, ma con un buon equipaggiamento si smette di farci caso. C’è da prestare molta attenzione agli automobilisti, alle zie col Suv sovradimensionato rispetto alle capacità cognitivo/motorie e ai tempi di reazione, c’è da prestare attenzione alle buche nelle strade, ma niente in confronto alla disgrazia di dover passare del tempo, per giunta pagando, dentro un’auto senza poter fare niente se non ascoltare la playlist, il giornale radio, uno speaker idiota.

Si arriva anche alla terza parte di questo mio excursus sull’Intermodalità, quella sui libri letti sul treno e sulle panchine delle stazioni. Che sono molti di più di quelli che uno riuscirebbe a immaginare. Una terza parte in estensione di cui si può raccontare solo una parte ed immaginare la seguente. Ci ritornerò.

Dahon Vitesse Folding Bike
La nuova Dahon Vitesse alla luce del Sole.
passato e presente | kobo ebook reader
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1. “Badare come un Cocomeraio” è una classica espressione pistoiese che sottolinea l’attenzione prestata a oggetti o persone, paragonandola a quella, proverbiale, che il cocomeraio presta ai propri cocomeri nel suo chiosco estivo.

 

Un giardino in riva al mare

Una volta arrivati a Punta Ala c’è da chiedersi principalmente perché ci si è andati. C’è da chiedersi perché sulla via Aurelia, all’altezza del bivio per Tirli e Punta Ala, si sia scelto quest’ultima destinazione invece del sopravvalutato e pittoresco borgo di minatori toscani. Dove sarebbe stato possibile bere una birretta seduti al tavolo di un bar ordinario a un prezzo ordinario (cosa che è successa dopo). Punta Ala è un Santuario della religione abbandonata dell’ottimismo seguito all’italico boom, un monumento a un brioso presente-aperitivo a ciclo continuo di una cena-futuro ancora più briosa e sempre di là da venire e che comincia a palesarsi perlomeno improbabile. Un paese fantasma ben tenuto, a distanza di sicurezza dal reale e dalle sue contraddizioni. Ma lasciamo perdere queste considerazioni sicuramente pregiudiziali e legate al gusto personale e parliamo del pratino di Punta Ala.
Il pratino che accoglie il pellegrino, il viandante, il semplice visitatore compresso tra il fronte di cemento e il mare, si presenta col cartello, quello che si può vedere nella foto. E il cartello detta le regole e ci dà un’informazione fondamentale per capire la natura del luogo dove siamo arrivati. Un giardino dove non ci si può sdraiare, non si può giocare, non si può portare il cane a cacare. L’unica cosa consentita è portare una paletta per rimuovere un’ipotetica merda di cane che però è vietato far cacare nel giardino. L’unica cosa consentita è diligentemente pulire lo sporco che qualcun altro ha incivilmente abbandonato in riva al mare. Le informazioni sono confuse. Ma anche questa analisi può essere considerata un prodotto delle proprie convinzioni. Ciò che è invece chiaro, aldilà di ogni proiezione personale, è che non è un’ordinanza comunale a proibire le normali attività di un giardino pubblico. Bensì una s.p.a.
Perché il luogo è gestito da una holding privata e questo ci racconta molto del mondo a venire, quello degli ultra high net worth individuals e dei loro ghetti fortificati e del resto del mondo abbandonato ad una deregulation falsamente propagandata come naturale, delle enclosures diffuse, della privatizzazione di tutto ciò che si può ritenere legittimamente un patrimonio comune (c’è del resto chi ritiene che la proprietà privata e il mercato siano una cosa naturale e utilizza pericolosamente il termine naturale e i suoi derivati ideologici) e in cui ogni cosa potrà essere considerata merce. Anche l’aria che respiriamo.

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La proliferazione di minibuddha

Proliferazione di minibuddha. Foto scattata a Chiang Mai (Nord Thailandia) al Wat Phrathat Doi Suthep (วัดพระธาตุดอยสุเทพ per il lettore Thailandese) e ritrovata in un rullino sviluppato, ma mai mandato in stampa, e rimasto in una busta dal febbraio 2010.  È stato il primo rullino che ho passato dentro il nuovo scanner (in questo modo mi svincolo dall’uso pericolosissimo del participio passato del verbo che non voglio usare nemmeno all’infinito presente) per pellicole fotografiche che ho appena acquistato.