Una morte cristiana nel Rio de la Plata

Non è facile gioire per la morte di uomo ultranovantenne soprattutto se a lui e ai suoi compari, un buon numero di compari che hanno avuto la possibilità di terminare la loro onorata carriera occupando posizioni di rilievo nell’esercito, nella federazione calcistica locale, dentro organizzazioni internazionali, trent’anni prima è stato consentito di organizzare uno dei più macabri progetti di ingegneria sociale e culturale della nostra storia recente. Coadiuvati dal silenzio e dall’approvazione della cosiddetta “comunità internazionale”, che consentì alla giunta militare l’organizzazione di un campionato mondiale di calcio propagandistico e funzionale, che aiutasse l’opinione pubblica internazionale e interna a sviluppare un assenso impossibile verso quel progetto di “bonifica” che privò l’Argentina di un’intera generazione di uomini e donne portatori di istanze altre da quelle dei difensori dei valori (e degli interessi) della Società Tradizionale. Manifestazione che solo alcuni tra i giocatori, e per iniziativa personale, ritennero di dovere o poter boicottare (il tedesco Breitner, l’argentino Carrascosa che si salvò dalle inevitabili ritorsioni per il suo rifiuto della convocazione solo per il fatto d’essere il capitano della nazionale e di godere di una immensa popolarità, Crujff e forse nessun altro). Forti dell’appoggio della chiesa cattolica i cui alti prelati ritenevano che la narcotizzazione rendesse “cristiana” la morte di coloro che, dopo essere stati torturati, venivano lanciati nel Rio de la Plata dagli elicotteri.

È difficile gioire della morte di un vecchio dittatore, sapendo quanti suoi silenziosi sostenitori continueranno a scegliere il ritorno all’ordine, là come qua, in questi giorni in cui le parole sicurezza e libertà vengono associate con sempre più frequenza e disinvoltura, in cui il perenne stato d’emergenza limita la libertà di analizzare leggi e dispositivi e squalifica ogni uso linguistico difforme dallo standard liberaldemocratico. Difficile far festa per la morte di Videla mentre lo stato d’eccezione reso norma sembra diventare il brodo di coltura di nuovi processi di de-democratizzazione.

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L’assassino scivola e perde la pistola

L’impasse attuale della vita politica italiana mi ricorda, con tutto il corredo di suoni e annessi di tipo emotivo, la scena principale di un film thriller, non di uno in particolare ma di un film thriller archetipico che nella storia umana viene proiettato a ciclo continuo, quella in cui l’Assassino rincorre la vittima designata nell’oscurità, armato di Pistola. Ma non la scena iniziale in cui un comprimario, un personaggio ininfluente che, senza essere adeguatamente sviluppato, viene ucciso per introdurre nella narrazione e nella mente dello spettatore la figura dell’Assassino armato di Pistola (è un’allegoria – lo preciso subito per le persone troppo inclini alle interpretazioni letterali). Non quella iniziale che ci consente di tracciare un quadro della situazione complessiva e introduce tutti gli elementi simbolici. No. È la scena finale. Il protagonista fugge, la situazione è disperata ed è debole e confuso. La determinazione dell’Antagonista è nota e il Protagonista non è un eroe, non è armato e non ha un chiaro piano di fuga. Fugge solamente e attende il Deus ex Machina.

E siccome è il protagonista il Deus ex Machina si manifesta. L’assassino cade e perde la pistola. Il protagonista si trova nella condizione di potersi salvare e non è per i suoi buoni sentimenti o per ricompensa di un  suo presunto merito in una scala di riconoscimento del valore. È solo per caso che questa possibilità si offre.

Il protagonista cosa fa?

Ecco, al sistema politico italiano è adesso offerta quella possibilità che è offerta al protagonista del film. Non gli è offerta evidentemente per meriti personali pregressi (come poter pensare questa cosa?), ma solo per caso. Lo stesso caso che manovra l’evoluzione e il resto degli eventi umani.

Uno scenario stocastico.

Siamo al punto in cui, anche se il raggiungimento di questo punto fosse stato in gran parte determinato dalla progettazione di qualche oscuro regista, l’assassino cade, perde la pistola e il protagonista immeritevole ha la possibilità di curvare la sceneggiatura.

Ce la farà il nostro protagonista?

 

 

 

È tardi e c’è la crisi

È tardi e c’è la crisi. Previste piogge disastrose su gran parte del paese. In alcune località sono previste frane, peggioramenti della già precaria situazione psicologica generale. Sembrerebbe necessario il miracolo. O al limite il colpo di tacco casuale allo scadere del tempo. D’altra parte, gli ideologi dell’ordine naturale cercano con ogni mezzo di inoculare nell’animo dell’italiano medio il sospetto che la colpa della mala situazione sia proprio sua. Proprio della sua medietà che gli impedisce slanci di volontà superomistica.

Nel mentre, l’impiegata pensa a voce alta davanti a una folla di utenti sbigottiti e nell’imbarazzo generale delle colleghe. Mentre invece dal tabaccaio, una circolare della locale azienda sanitaria sui rischi connessi al gioco d’azzardo fa mostra di sé, circondata da centinaia di Gratta e Vinci, biglietti di lotterie, pubblicità del bingo, delle vite immaginate ad uso di persone comunque incapaci di immaginarsi dentro un’esistenza diversa.
Nel mentre, davanti all’aeroporto di Fiumicino, c’è un totalizzatore che indica gli euro vinti finora dai disperati del gratta & vinci. Al momento sono 7.439.239.041. Manca di sapere qualcosa in questo semplice dato numerico?
Nel frattempo il negozio all’angolo, che un tempo era un laboratorio di un calzolaio, è diventato un “Compro Oro”. Venti metri più avanti una sala scommesse. Il panorama è questo.

La colpa di questa stagnazione è nella testa del prudente cittadino, che al cospetto dei temibili marosi di una crisi sospetta, i cui teorici fanno sempre più spesso ricorso ad argomentazioni nebulose, come nebulosamente si propongono come salvatori del salvabile, dentro il suo guscio di noce fatto di risparmi più e meno sudati, più e meno fatturati, legittime aspirazioni di continuare a vivere secondo degli standard di decenza non rinegoziabili, rifiuta di prendere il largo e cercare quelle che Ulrich Beck chiama “soluzioni biografiche” per arginare una crisi che si configura sempre di più come sistemica. Del resto, per quanto il linguaggio tecnico cerchi di manomettere il significato, non delle parole, ma dell’esperienza, sempre di campare d’espedienti si tratterebbe. E una vita d’espedienti, si sa, può andar bene solo a chi se la può permettere.
Che imperdonabile mancanza di coraggio questo cittadino mediterraneo! Il tecnocrate lo incalza. Lo pungola. Lo chiama bamboccione, lo fa passare per rincoglionito, ci si mettono pure gli stranieri professionisti della garanzia sociale e dei privilegi coloniali a rompergli i coglioni.
Tutte le forze schierate a difesa dell’ultima, ideologica fase del capitalismo come l’abbiamo conosciuto.

(Per le previsioni meteorologiche non datevi pensiero. Il brano l’avevo iniziato un paio di settimane fa…)

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Amartya Sen sulla Felicità e le strategie di austerity dei tecnocrati

Da un più lungo intervento di Amartya Sen al Festival della Scienza di Genova e pubblicato sul Sole24ore di domenica scorsa, riporto uno stralcio dove si parla delle politiche di austerità dei cari tecnocrati europei.

 

“…in aggiunta alla recessione la disciplina dell’austerità viene imposta per ridurre il deficit a molti paesi con un tasso di crescita zero o negativo. Creare sempre più disoccupazione laddove c’è una capacità produttiva inutilizzata è una strategia bizzarra, e non basta ai padroni della politica europea dire che non si aspettavano forti cali di produzione e alti e crescenti tassi di disoccupazione. Perché mai non se l’aspettavano? Da quale idea dell’economia si fanno guidare? Di sicuro la qualità intellettuale del loro pensiero è un motivo di infelicità. Non si tratta soltanto di avere un’etica solidale, ma anche un’epistemologia decente.”

qui l’intero articolo:

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2013-01-24/infelicita-istituzioni-europee-195150.shtml?uuid=AbhTarNH&p=3

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Incentivare la creatività

I progetti per incentivare la creatività sono esattamente ciò che serve per annullarla o, nella migliore delle ipotesi, depotenziarla e renderla organica all’Ordine. Gli uffici e di conseguenza gli addetti alla creatività, soprattutto quella giovanile, sono il nemico più insidioso di chiunque si proponga di “creare liberamente” perché, dietro la simpatica promessa di fondi e strutture pubbliche, nasconde la catena della visione del gruppo dominante e dei suoi interessi.
È sempre necessario ricordare che, parafrasando Thomas Bernhard, lo stato produce e autorizza solo creativi di stato.

Photografia fatta da me medesimo. No copyright infringement.