La Fiera dell’Urto di Vomito | Andrea Betti ne “La Felicità Terribile”

Ri-Pubblico questo memorabile testo di Andrea Betti proprio adesso, in questi giorni in cui c’è andato di moda scavare a fondo nell’inchino della Madonna al capoclan. Qualcuno avrà scomodato il ritardo culturale, molti si saranno sentiti sicuri tra i morbidi guanciali del loro progressismo alla buona, certi che le Madonne aborriscano essere portate sul baldacchino davanti alla porta di casa dei malavitosi. Nessuno che invece si concentri sul contenitore che le madonne e la mafia condividono.

Ne “La fiera dell’urto di vomito”, testo scritto sul finire degli anni novanta del secolo scorso, Andrea Betti traccia uno scenario più che possibile e più che reale di una festa di paese della laicissima, comunista un tempo, democratico/progressista al momento, Toscana. Terra di sagre, bestemmie roboanti, fagioli rifatti e crostini neri, terra in cui fu inventata la faziosità e dove imperano l’invidia, l’avarizia, l’ignoranza e un sistema di potere implacabile ed arrogante. Ove le madonne immaginarie si inchinano davanti alla casa del dirigente, perché la madonna non è mai nemica del capo esattamente come gli intellettualucci organici non sono mai in contraddizione col potere, anzi ne suffragano ogni mossa con la loro debole, quindi giusta, voce.

 

Questo ed altri testi di Andrea Betti sono stati pubblicati nel volume “La Felicità Terribile/Zucchero Spinato” uscito poter Ass Cult Press lo scorso anno.

Questo l’indirizzo per saperne di più sull’autore: hamonveg.blogspot.com

Chi lo volesse mi scriva all’indirizzo alla voce: contatti.

 

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La Fiera dell’Urto di Vomito

Benvenuti alla fiera dell’urto di vomito,
dove i manifesti son schizzi d’amore e le lotte dei Galli e le scommesse, per sciccheria, si fanno in francese avec un sanglant chemi-sier de Gautier le blanc chemisier, maintenant rouge
Rien vas plus – il giuoco è fatto, la beccata nella pupilla avversa, le creste macinate nell’agone
e l’imbonitore fava, dietro al bancone de’ panforti e de’ sanguinacci. Attraverso torroni, croccanti, brigidini e cilinghe infestati di sudore, le braccia pelose d’avventori donne, uomini e bambini, unti dalla purpurea benedizione d’una Processione, altalenante trofeo di Vergine in ciclo
Vergine in lagrime, sangue & arena. Sorretta da Chierici edonisti impasticcati la miracolosa preme il dolce calcagno sulla testa recisa d’un Toro scatenato e poi scannato in sua grazia, ed il suo occhio bufalino e opaco vede e riflette:

– omuncole in sciarpina rosa e piumino totale, gonnella in gabardina macchiata di bistro di mammà e cioccolatone negro strafondente, richiama il colore dei denti dei quattro Carabinieri in alta uniforme e bassa lega, pennacchio al cielo, fuoco d’artifizio retrostante… fa cilecca… moccolo gutturale del fuochista indigeno in tuta d’olio bono e olio di macchina, l’ascella pezzata Esso e la mascella spezzata,
– la ginnasta giovina sul tortino a tamburo esegue le grand-jetè: le madri piangono
– al pianoforte a pila la Sig.ra Gori con le dita smaltate e i ricignoli tinti di rosso, alita bunker, dirige con piglio emostatico, ferreo, indossa occhiali con catenella d’oro zecchino D’oro, gli amanti delle madri palpano culi stupefatti di figlie tredicenni, là , dove duole il brufol grosso –
– giovin signori in scuter e piattoni aerodinamici sfoggiano gelatine kevlar, colli sudici, e fauci spalancate sull’oblio cenobitico di hamburger di soia e lucertole vive, dispensati da un harekrsna: offeso per l’aggiunta animale al suo prodotto esterno lordo, lamenta un odio non corrisposto, non provato, mai spentosi. Inutilmente gorgheggia litanie rivolto a colei che mostra la carie del sorriso, come un ventre sensuale costellato di punti neri che chiama NEI e stelle implose, nane bianche al largo da ogni troiaggine sottocintura, sotto il fiocco del top stretto al grasso seno come nuove costole, per nuove genesi di un terzo sesso, il suo, maremma malaria! dalle cliniche di Casablanca al pronto soccorso mobile in Piazza: la Misericordia indossa giacche arancioni catarifrangenti su fieri ragazzoni briai, intenti a porgere impacchi ghiacciati ai rissosi del Biliardo, intellettuali della geometria di ogni tappeto verde coi polpastrelli intrisi di tre a mattoni e due di picche, esperimentatori di Grappe nardini ed estere doppio-malto esterrefatte turiste circumpolari decompongono e ricompongono la logica del Caratteristico e del Pittoresco, in un idioma piallante pieno di g e di k, ricostruiscono il paesaggio secondo i criteri Kantiani della cartolina, mandata agli amici per fargli dire, invidiosi:
“GKGK KGGGKK GKGHGKKGGGHGKKKGHKKKK!!!”
Acrobati e trapezzisti eroinomani, agguantano al braccio, piroettando la Soubrette di tutti gli Sballi, e i balli lisci fra damigiane di vuoto festeggiano alticci, la nascita della Tragedia e della figlia del Maresciallo, Itaglia, portata in trionfo dal vincitore universale del torneo di briscola a cui tutto il mondo deve svariati cognacchini e caffè – dalle sbarre di scantinati mugolano significativamente autoclave non invitati intanto crolla una palazzina in periferia, sventrata dai gas del suicida: trionfò la sera scorsa, nella pugna dei Borlotti rifatti salvia, ovo e scalogna di quella NERA, degli orti sempre più verdi di ogni vicino frontiera avversa di persiane sbatacchiate e persone abbacchiate sui coiti vertiginosi dei giòvani trsgrssivi a capello sciolto sotto la pioggia che rovina la festa e muta in fango i giardini fioriti.
– Cani Idrofobi nel buio delle logge del Comune ringhiano ad assenti testimoni di Geova; loro gli vendono Watchtower e quelli si convertono, asportandosi chirurgicamente, con un morso al cuore, l’odio dal loro petto. Un morso al petto come quello che sentì Ruggero nel vedere, cristallizzate chiazze di sperma altrui, sulle calze ad uncinetto della su’ fia GiovannaD’Arco, le sue lacrime non spensero il rogo, nemmeno la confessione al prete spippato né la penitenza sussurrata dietro una colonna fra la navata centrale, il pulpito e la tranvata finale: essa ebbe a inginocchiarsi sulla grata dei Matti, nascosti nelle cripte-cottolengo del Duomo, frutti dell’abominio di rapporti consanguinei fra mariti e mogli per bene, mugolava ancora le Glorie quando venne sorpresa. La lingua del matto, rigata di ruggine, ancora attaccata alla grata traboccava a scassadenti – la processione entra in chiesa lo sdegno pervade 4 dei 12 portatori sani di madonne, fra cui Ruggero – tutti fratelli senza saperlo,
il volto di porcellana della Vergine, riflette la luce delle candele alieno ad ogni peccato e ad ogni giustizia, ri-piange prima di sbriciolarsi al suolo – il prete spippato bestemmia
le grida della peccatrice si confondono a Romagna Mia, il cantante, offeso
alza la voce.

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Andrea Betti – La Felicità Terribile
Tutti i diritti riservati
© 2013
Ass Cult Press – www.asscultpress.com
Andrea Betti – hamonveg.blogspot.com
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La Felicità Terribile – Andrea Betti (Ass Cult Press, 2013)

Il Mondo è Morto | da “Scritti per la Fine del Mondo”

Il Mondo è Morto, non senti l’odore?
Si sente odore d’incenso e idrocarburi,
di eroina e trasmissioni elettorali.
Non senti il suono continuo
del calcolatore bizzarro che sancisce
la Sua Morte?
Non senti il canto degli Sterminati?
I traccianti nel cielo non sono
pirotecnie di compleanno
e nemmeno naufraghi in gommone
che segnalano disperati la posizione.
In televisione non ne danno notizia.
Guardie armate sparano
colpi d’avvertimento verso il cielo
per arrestare la marcia dei curiosi
e spesso un Tedesco vestito da Donna
parla della necessità del confronto,
ma necessariamente, nella Verità.
Il Mondo è Morto, non senti l’odore?
Non senti le trombe, gli sciacalli, gli avvoltoi
il buonumore raro del barista
che ti parla di un futuro improbabile
ti passa un bicchiere avvelenato
da un sorriso fuori tempo?
(Le profezie, la termodinamica, il buonsenso, la noia,
pronosticano in tempi diversi lo stesso evento
peraltro già avvenuto…)

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da “Scritti per la Fine del Mondo”
di Simone Molinaroli
(Ass Cult Press, 2013)

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Simone Molinaroli
Tutti i diritti riservati © 2013

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Scritti Per La Fine Del Mondo – Simone Molinaroli by Simone Molinaroli

HO IN TASCA L’ECO – una poesia da “Scritti per la Fine del Mondo”

 

 

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Ho in tasca l’eco di parole
che un tempo appartennero agli ubriachi
che un male mai battezzato rese fiacchi
e la vanità callosa da profeta impiegato
innalzò al Silenzio Colossale dei night bar.

 

 

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da “Scritti per la Fine del Mondo”
di Simone Molinaroli
(Ass Cult Press, 2013)

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Simone Molinaroli
Tutti i diritti riservati © 2013

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Scritti Per La Fine Del Mondo – Simone Molinaroli by Simone Molinaroli

Non è un inedito. Quasi. | Storia dell’Avvistamento (Lfdm a Pesaro, 15 luglio 2012)

 

Non è proprio un inedito questa “Storia dell’Avvistamento”. È quasi un inedito. Il testo uscì in versione incompleta sull’antologia  “Pro-Testo” edita dall’Editore Fara e poi completo sulla plaquette “Scritti per la Fine del Mondo” (qui e qui).  Con La Fine del Mondo l’abbiamo suonata dal vivo praticamente tutte le volte che ci siamo esibiti.

Ci sono elementi autobiografici, parti di storia patria e frammenti di mito autoprodotto. Per raccontare del difficile rapporto con la pleonastica realtà rappresentata che ci circonda. Con il suo raccontarsi fino all’esaurimento.

Questa è l’esecuzione del 15 luglio 2012 allo Zoe’ Microfestival di Pesaro.

Il video è un montaggio di materiale foto/video proprio. Non professionale.

 

STORIA DELL’AVVISTAMENTO (o della Verità)

1.
Fu avvistato un oggetto volante
che i più volenterosi identificarono
come un segno incerto, ma evidente,
dell’attenzione di qualcuno
(dio? gli alieni? altri uomini più organizzati?)
per i nostri malanni.
Altri più realisti, troppo realisti
non videro niente nel cielo quella sera
e rilasciarono dichiarazioni ufficiali
sull’abbrutimento dei costumi
e il deteriorarsi delle umane virtù,
ordinando Cocktail Martini
e vino rosso in quantità appropriata
per abolire il sospetto
che qualcosa volasse nel cielo quella sera
prima che un cacciabombardiere lo abbattesse.
2.
Una Collisione Sinfonica
nel cielo deserto.
Poi ad uno ad uno i testimoni
cominciarono a ritrattare.
Seguì il silenzio dell’estinzione
e a intervalli regolari
colpi di pistola.
( …nel frattempo la ragazza si rese conto
che l’uomo che aveva ascoltato per anni
in realtà non aveva mai parlato…)

3.
(la Ragazza pianse e l’Uomo tacque)
Seguirono anni difficili
in cui a ognuno
fu riconosciuto il diritto
di sottilizzare con tecnicismi incomprensibili
e diventare un Quadrumane Inoffensivo.
4.
La Commissione d’Indagine lavorò per anni,
quegli stessi che l’Uomo visse in silenzio.
Alla fine si potevano contare a milioni
quelli che serbavano memoria
del proprio ricordo
ma nessuno che potesse dire d’aver visto.
Di un solo Testimone Leggendario
di nascosto si narrava
dentro i bar e ai bambini nelle sere
perché non scordassero, non del tutto,
la Storia dell’Avvistamento.
(quando infine l’Uomo parlò di nuovo
la Ragazza sorrise non certa di aver compreso,
ma sicura nell’Evento
come il Tuono…)

Simone Molinaroli – LFDM
Tutti i diritti riservati © 2013

 

 

 

 

Cose imparate da un’Alluvione | 21 ottobre 2013 Pistoia

Imparare dall’Alluvione

Si imparano molte cose dall’esperienza di un’alluvione. Con tutto il rispetto e facendo tutte le dovute differenze con chi da un’alluvione si è visto strappare tutto il molto o il poco accantonato in una vita di sacrifici (o anche senza sacrifici, la distinzione è inutilmente e strumentalmente ideologica). O più ancora con chi a causa di un’alluvione ha perso la vita e non può stare a raccontare cosa avrebbe fatto volentieri il giorno dopo. Ma, con buona pace di tutti quelli che non perdono mai l’occasione per tacere e intimano al prossimo il silenzio per motivi di opportunità mai ben spiegati, io vi racconto della mia alluvione. Vi racconto cosa ho imparato da quelle sei ore fuori da ogni schema che ti lasciano con 140 cm di acqua e fango in casa.
Ho imparato non tanto, come si usa ripetere in questi casi, quanto si è piccoli e impotenti e inefficaci di fronte alle forze della natura, che per questo erano bastanti tutte le dimostrazioni, le morti, le disgrazie pregresse e le inefficacie lampanti dei 43 anni già passati in compagnia di umani di ogni tipo e in situazioni limite, ma quanto siano fondamentali la solidarietà e l’aiuto gratuito di chi compone la tua rete sociale. Che l’apparente impraticabilità di ogni strategia, che all’inizio rende difficile elaborare una risposta sensata, si dimostra minuto dopo minuto sempre più apparente e sempre meno impraticabile e, man mano che gli amici si sostituiscono, quando alla pala, quando al trasporto di oggetti irriconoscibili, quando al secchio e alla spugna, quando alla battuta di spirito che riporta il non ordinario alla terra, sempre più un problema faticoso che un poco alla volta si risolve.
Ho imparato che la parola Comunità, che viene spesso usata per rimarcarne l’assenza e un bisogno diffuso, ha davvero a che fare con qualcosa di morto. Con un sentire senza tempo seppellito dalle ideologie e dalla schadenfreude. Se esistesse ancora un sentire comunitario i vicini di casa avrebbero osato varcare il cancello di casa e, oltre a osservare il fango e pronunziare qualche frase di circostanza, ringraziando al contempo il maltempo per aver colpito l’altrui dimora, avrebbero aiutato, anche poco, quanto consentito dalle capacità, dal tempo, a sgomberare l’allagato, a spostare qualche mobile restituito dall’acqua gonfio e inutilizzabile. Avrebbero provveduto a rinforzare il conforto verbale con una Moka di caffè rovente.
Tutto questo non accade.

Alluvione a Pistoia | 21 ottobre 2013
Alluvione a Pistoia del 21 ottobre 2013 – una visione personale

Ho imparato che restituire alla vita quotidiana una casa alluvionata è la cosa più faticosa mai fatta. Che le istituzioni non esistono. Non esistono prima, non esistono durante, non esistono dopo. Non esistono prima, nella scriteriata gestione del territorio, non esistono durante, nella loro totale assenza dalla scena, non esistono dopo nel mancare l’occasione di cambiare finalmente orientamento nella gestione del territorio. L’unico atto istituzionale pervenuto è la distribuzione dei moduli per la richiesta danni.

Alluvione a Pistoia del 21 ottobre 2013
Alluvione a Pistoia del 21 ottobre 2013 – una autoironica visione personale

Ho re-imparato che la colpa muore fanciulla, ma al contempo si è giaciuta con molti. Che è meglio fare prima che spalare poi. Che ogni fenomeno ha un suono che è il proprio e l’alluvione non fa eccezione. Quando alle tre di notte l’ho ascoltato per la prima volta in vita mia sapevo che era esattamente il suono dell’alluvione. Che far funzionare il cervello al ritmo di salita del livello dell’acqua non è facile e così, col fango al ginocchio, nel buio rischiarato da una minitorcia tenuta in bocca, ci si affretta per salvare qualcosa, ma non si riesce a pensare cosa salvare, molto è già finito sott’acqua, il resto è nel buio, ciò che resta visibile è troppo grande per le braccia di un uomo solo. Così si finisce per salvare ciò che è vicino alle scale, qualcosa che galleggia, prima di desistere per paura di rimanere sotto un mobile.

 

Alluvione a Pistoia | 21 ottobre 2013
Alluvione a Pistoia del 21 ottobre 2013 – una visione personale

 

Come scriveva Nietzsche, e diceva il signor Geiser ne “L’Uomo nell’Olocene” di Max Frisch, bisogna essere pronti a tutto. Soprattutto quando sembra non essercene bisogno.