L’interrogazione parlamentare | una nota in un libro di Erving Goffman

C’è in questo libro di Erving Goffman (La vita quotidiana come rappresentazione) che sto leggendo sul treno, all’inizio e alla fine del quotidiano turno di movimentazione dei poponi, una citazione di un brano da un testo di un altro autore (H. E. Dale) che definisce in modo molto preciso quel peculiare modo di usare la lingua che hanno certe personalità pubbliche (in Italia scherzando lo chiamiamo di volta in volta Sindacalese, Politichese, ecc.). Sono cose già sapute, ma che come molte delle cose già sapute ogni tanto è bene sapere nuovamente, in forma diversa, in modo più approfondito o piu di superficie, disancorato dai paradigmi cui ci affidiamo per costruire una nostra visione delle cose del mondo, siano esse anche cose impalpabili come la retorica e lo stesso atto di nominare quelle cose.

Ecco qui la citazione dal libro del signor H. E.  Dale:

«La regola in materia [circa quelle affermazioni che sono dirette al pubblico o che probabilmente diventeranno pubbliche] è semplice. Non si deve dire niente che non sia vero,  ma è altrettanto inutile ed a volte perfino indesiderabile, anche nell’interesse pubblico, dire tutto ciò che è vero: i fatti possono essere presentati in qualsiasi modo convenga. È straordinario ciò che entro questi limiti può fare una persona che sappia scrivere. Si può affermare cinicamente,  ma con una certa dose di verità,  che la risposta perfetta a una interrogazione parlamentare è quella breve,  che può esser dimostrata precisa in ogni suo termine qualora sia fatta oggetto di critiche,  che non si presta a strascichi imbarazzanti,  ma che in realtà non rivela proprio niente.»

Capita sovente di sentire un brusio di fondo mentre qualcuno parla. Spesso succede quando parlano gli amministratori di cosa pubblica, i sindacalisti, i politici, gli affabulatori professionisti. Non preoccupatevi. Il brusio non è dentro di voi e non è nemmeno colpa dell’ignoranza ipotetica di cui ognuno è sempre, comunque e per fortuna, portatore. Il brusio è davanti a voi.

Fotografia originale di Alfonso Pierantonio (kruder396 on flickr) rilasciata con la licenza cc-by-sa-2.0. La modifica è mia e rilascio l'immagine derivata con la stessa licenza (cc-by-sa-2.0).
Fotografia originale di Alfonso Pierantonio (kruder396 on flickr) rilasciata con la licenza cc-by-sa-2.0. La modifica è mia e rilascio l’immagine derivata con la stessa licenza (cc-by-sa-2.0).

È tardi e c’è la crisi

È tardi e c’è la crisi. Previste piogge disastrose su gran parte del paese. In alcune località sono previste frane, peggioramenti della già precaria situazione psicologica generale. Sembrerebbe necessario il miracolo. O al limite il colpo di tacco casuale allo scadere del tempo. D’altra parte, gli ideologi dell’ordine naturale cercano con ogni mezzo di inoculare nell’animo dell’italiano medio il sospetto che la colpa della mala situazione sia proprio sua. Proprio della sua medietà che gli impedisce slanci di volontà superomistica.

Nel mentre, l’impiegata pensa a voce alta davanti a una folla di utenti sbigottiti e nell’imbarazzo generale delle colleghe. Mentre invece dal tabaccaio, una circolare della locale azienda sanitaria sui rischi connessi al gioco d’azzardo fa mostra di sé, circondata da centinaia di Gratta e Vinci, biglietti di lotterie, pubblicità del bingo, delle vite immaginate ad uso di persone comunque incapaci di immaginarsi dentro un’esistenza diversa.
Nel mentre, davanti all’aeroporto di Fiumicino, c’è un totalizzatore che indica gli euro vinti finora dai disperati del gratta & vinci. Al momento sono 7.439.239.041. Manca di sapere qualcosa in questo semplice dato numerico?
Nel frattempo il negozio all’angolo, che un tempo era un laboratorio di un calzolaio, è diventato un “Compro Oro”. Venti metri più avanti una sala scommesse. Il panorama è questo.

La colpa di questa stagnazione è nella testa del prudente cittadino, che al cospetto dei temibili marosi di una crisi sospetta, i cui teorici fanno sempre più spesso ricorso ad argomentazioni nebulose, come nebulosamente si propongono come salvatori del salvabile, dentro il suo guscio di noce fatto di risparmi più e meno sudati, più e meno fatturati, legittime aspirazioni di continuare a vivere secondo degli standard di decenza non rinegoziabili, rifiuta di prendere il largo e cercare quelle che Ulrich Beck chiama “soluzioni biografiche” per arginare una crisi che si configura sempre di più come sistemica. Del resto, per quanto il linguaggio tecnico cerchi di manomettere il significato, non delle parole, ma dell’esperienza, sempre di campare d’espedienti si tratterebbe. E una vita d’espedienti, si sa, può andar bene solo a chi se la può permettere.
Che imperdonabile mancanza di coraggio questo cittadino mediterraneo! Il tecnocrate lo incalza. Lo pungola. Lo chiama bamboccione, lo fa passare per rincoglionito, ci si mettono pure gli stranieri professionisti della garanzia sociale e dei privilegi coloniali a rompergli i coglioni.
Tutte le forze schierate a difesa dell’ultima, ideologica fase del capitalismo come l’abbiamo conosciuto.

(Per le previsioni meteorologiche non datevi pensiero. Il brano l’avevo iniziato un paio di settimane fa…)

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Amartya Sen sulla Felicità e le strategie di austerity dei tecnocrati

Da un più lungo intervento di Amartya Sen al Festival della Scienza di Genova e pubblicato sul Sole24ore di domenica scorsa, riporto uno stralcio dove si parla delle politiche di austerità dei cari tecnocrati europei.

 

“…in aggiunta alla recessione la disciplina dell’austerità viene imposta per ridurre il deficit a molti paesi con un tasso di crescita zero o negativo. Creare sempre più disoccupazione laddove c’è una capacità produttiva inutilizzata è una strategia bizzarra, e non basta ai padroni della politica europea dire che non si aspettavano forti cali di produzione e alti e crescenti tassi di disoccupazione. Perché mai non se l’aspettavano? Da quale idea dell’economia si fanno guidare? Di sicuro la qualità intellettuale del loro pensiero è un motivo di infelicità. Non si tratta soltanto di avere un’etica solidale, ma anche un’epistemologia decente.”

qui l’intero articolo:

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2013-01-24/infelicita-istituzioni-europee-195150.shtml?uuid=AbhTarNH&p=3

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Una giornata come le altre (+ le dichiarazioni dei Capi Gruppo)

È mentre sento il Sugo di Peperoni emettere il classico suono di Sugo di Peperoni che penso alla giornata politica appena trascorsa. Risento il suono delle dichiarazioni ascoltate ieri durante la diretta radiofonica dalla Camera dei Deputati. Le riascolto a memoria (mi aiuto un po’ con il web, lo ammetto). Pierferdinando parla da grande Democristiano, incita alla coesione e poi si lascia un po’ andare a dice che “destra, sinistra e centro non sono più rappresentativi di nulla”. Reguzzoni, con cui a tratti e con imbarazzo mi trovo d’accordo, minaccia la guerra civile (ma non è su questo che mi trova d’accordo), Bersani il Simpatico dichiara di sostenere il governo dalle proprie posizioni, ma senza discussioni, senza paletti. Per sottolineare che il sostegno del PD ha un’identità precisa chiede umilmente che il governo tenga di conto delle sue posizioni (del PD). E finisce, il Bersani, con un delirio Nazionalista/Surreale che può trovare spiegazione solo nell’abuso di Alcool. Alfano, Alfano niente. Il Presidente è un marpione. Ci garantisce che metterà in atto misure severe. Ma al contempo ci ricorda che la situazione peggiorerebbe se non fosse messo in condizione di attuarle. Per rassicurarci sull’esistenza dei Poteri Forti e sulla divisione tra Potere Reale e Potere Formale, rivolge un pensiero a quelli che hanno, da sempre, contribuito meno. E come per chiedergli il permesso (in questo ricorda un po’ Bersani), costernato, gli dice che dovranno contribuire un po’ anche loro. Ai lavoratori manda invece a dire che i diritti sono privilegi facendo la sua parte nell’opera di tracciatura di un solco profondo tra le generazioni. Facendo la sua parte di lavoro sporco nel tentativo di persuadere i precari e i più giovani che la responsabilità della loro condizione è solo ed esclusivamente di chi ha dei diritti. È un marpione. Uno che io non vorrei come amico.
Il Sugo di Peperoni borboglia a ritmo costante. L’aroma è convincente. Non tutto è perduto.
Vi consiglio di prepararvi. Al peggio, al meglio, a qualunque cosa.
Il Kynikós vi direbbe di essere pronti a tutto. Perché solo essere pronti a tutto rende l’Intelligenza invulnerabile.

Io mi metto il vestito buono.

la cultura di massa | Christopher Lasch | L’Io minimo

[…]

il fenomeno della cultura di massa, troppo spesso considerato dal punto di vista del suo impatto sugli standard estetici, solleva interrogativi che riguardano la tecnologia, e non il livello di gusto del pubblico. Le avanzate tecniche di comunicazione, che sembrano limitarsi a facilitare la divulgazione di informazioni su una scala più vasta di un tempo, a un esame più approfondito dimostrano di impedire la circolazione delle idee e di far sì che il controllo venga esercitato da un pugno di grandi organizzazioni. La tecnologia moderna ha sulla cultura gli stessi effetti che ha sulla produzione, dove serve ad affermare il controllo manageriale sulla forza lavoro. Lo studio della cultura di massa conduce quindi alla stessa conclusione emersa da uno studio della meccanizzazione del lavoro: cioè che la  tecnologia incarna la progettazione intenzionale di un sistema di gestione e di comunicazione a senso unico, concentra il potere economico  e politico e, sempre più, anche quello culturale, nelle mani di picole èlite di pianificatori, analisti del mercato ed esperti di ingegneria sociale, stimola l’input o il feedback soltanto in forma di cassette dei suggerimenti, indagini di mercato e sondaggi di opinione. La tecnologia diventa così  un efficace stumento di controllo sociale – nel caso dei mass media, cortocircuitando il processo elettorale attraverso i sondaggi che contribuiscono a formare l’opinione pubblica invece di limitarsi a registrarla; riservando agli stessi media il diritto di scegliere i leader politici e i loro portavoce, e presentando la scelta di leader e di partiti come una scelta fra diversi beni di consumo.

[…]

da “L’Io Minimo – la mentalità della sopravvivenza in un’epoca di turbamenti”

di Christopher Lasch