Chi ben comincia… (un lunedì qualunque)

Il lunedì comincia bene.

Ore 5.30 a.m. apro l’ufficio ed è esploso il tubo della merda.

Ore 7.30 a.m. il telefonone gracchiante del collega ha una playlist composta di due sole canzoni. La foto che spacca e accompagnami a casa.

Ore 11.30 a.m. altri due colleghi si prendono a male, malissime parole. Tento timidamente di fare da paciere. Poi, memore degli antichi insegnamenti e per evitare che il lunedì diventi ulteriormente peggiore, mi scanso.

Alla fine della giornata mancano circa 9 ore.

Ho pensato anche di chiudermi in cantina, ma la pioggia come nel 2013 potrebbe allagarla.

Il sindacalista è “troppa trama”

Il sindacalista, come la scena del corteggiamento nel film porno, è troppa trama. Ieratico come un pretonzolo e con i tempi di Celentano arringa l’uditorio provato dalla levata antelucana. Il rinnovo del contratto, dice lui, sarà complicato. Insiste sulla complicazione, 45 minuti di introduzione sulle nuove forme contrattuali immagino servano a inoculare l’ansia che fa votare senza immaginazione. Insiste. Difficoltà insormontabili ci aspettano. Ci vuole unità, il rinnovo è complicato, difficoltà, complicato, e proprio al climax della difficoltà insormontabile gli squilla il telefono. E risponde.

Mi rimetto le cuffie e ascolto Van Morrison.

Alla sagra del tortello | Sottoclou XXI sec.

Alla sagra il vino è cattivo e la musica è peggio. Il saxofonista sfrisa liberamente e ripete fino allo sfinimento lo stesso assolo, forse vuol fare come il generale Santana che durante l’assedio di Fort Alamo fece suonare il Deguello senza sosta, ma è un valzer midi quello che risuona tra le baracche e i padiglioni della sagra e manca la cavalleria. Siamo in pineta nell’immediato entroterra maremmano e non ci sono sfavillanti divise, rombi di cannone, cavalli lanciati alla carica, trombe e fucilieri. Ci sono infradito sabbiosi, bimbi hurlanti, pelli avvizzite dal sole tossico delle 12,47, un invadente aroma di bruciaticcio, la musica di merda.

Io odio tutte le sagre e tutte le rievocazioni e tutti gli assoli di sax sulla base midi. “grazie grazie” dice il saxofonista e attacca il tangaccio con fisa sintetizzata e riparte lo sfriso di Santana (il Generale), la cantante accenna una mossa, il canaccio gonfio a cui ho dato l’avanzo di lombatina abbaia stancamente provato dalla mole e dal caldo, sembra indignato, è lo stesso cane che ogni anno si aggira tra le tavolate della pineta, immutabile zeppelin canino che sorprende, anno dopo anno, per la longevità e la protervia, il corpo ormai dilatato, nell’esercizio smisurato dell’occhio-a-impietosire per procurarsi grasselli di rosticciana, ossi di lombatine, carciofi fritti e diacci (toscanismo), gonfiato ulteriormente dal mio osso riabbaia, la cantante piglia il cichicìchi senza convinzione e parte anche la mazurka, poi il saxofonista dice “ancora un paio di ballabili poi ci scateniamo” e sembra più una minaccia che una promessa e la cantante attacca “applausi” dei camaleonti e mi fa tornare in mente quel jolly che pescai una volta durante un ramino pokerato, neanche il tempo di far emergere il buonumore che parte una versione mezza peruviana, mezza western di the sound of silence e buonanotte.

Quello che beve un’intera bottiglia (cose che succedono al parco giochi) | Sottoclou XXI sec.

Non sono solito ascoltare illecitamente le altrui conversazioni telefoniche. Le ascolto solo quando sono in un luogo da cui non posso muovermi e il mio vicino parla a volume sconsiderato dei cazzi propri. E in quel caso le devo ascoltare per forza. Dunque a volte mi capita davvero di ascoltare involontariamente conversazioni telefoniche di vicini di posto in treno, di colleghi, di persone tra gli scaffali dei supermercati, al bar. Mi capita di doverle ascoltare perché sono condotte a volume inadeguato e in luoghi inadatti. Dunque le ascolto mio malgrado. E non capita mai di ascoltare una dichiarazione d’amore, una poesia recitata con perizia, il racconto di una memorabile rovesciata in una partita di calcio mai vista quarant’anni prima, la descrizione dettagliata di tutte le percezioni dovute a un bicchiere di vino, una canzone composta sul momento e telefonata a un caro amico. No. Non è mai niente di tutto questo.

Ed è una situazione che capita sempre più spesso quella di ascoltare le conversazioni altrui, tanto che a volte ci si intende una volontà di essere ascoltati, di essere registrati come viventi, una affermazione pubblica della propria individualità. Capita spesso di dover ascoltare le playlist dei bimbyminchia col telefonone che cambiano canzone ogni dieci secondi. A quel punto gli obblighi diventano due. Non potersi spostare ed ascoltare. Che è pure una condanna. Spesso è proprio una vera rottura di cazzo. E allora, dal momento che sono obbligato ad ascoltare, mi faccio un’idea, giudico severamente. Tiro anche delle conclusioni. Conclusioni momentanee, senza destinatario, senza scopo.

Inoltre essere messo a parte di segreti, siano essi incoffessabili veri segreti o solo manfrine dialettiche tese all’irretimento, mi mette a disagio. Essere messi al corrente di un segreto è essere zavorrati, una chiamata in correità, intrusione fraudolenta di un cavallo di troia nell’immaginario, una richiesta indebita di complicità, violenta trasparenza indotta dal vivere nel nostro presente panoptico fatto di reti sociali dematerializzate, dove tutto è simultaneamente esposto al giudizio di tutti nella ossessiva ricerca di riconoscimento. Come scriveva Baltasar Gracián “i segreti, nè si devono ascoltare, nè dirli” ed io mi attengo scrupolosamente a questo monito saggio.

Ma torniamo all’inizio. Al motivo per cui sto scrivendo.

Tempo fa mi venni a trovare in un parco pubblico di Pistoia (capitale della cultura 2017) con Leone, il mio giovane figliuolo. C’era alta densità di bimbi, alta densità di genitori, alta densità di telefoni cellulari. Alta densità di telefoni cellulari utilizzati in diretta. Alta densità di esaurimento. Alta densità di grida. Io e la borsa con le cose necessarie a un babbo occupiamo una mezza panchina libera e mi metto a vigilare sui giochi di Leone. L’altra metà della panchina è occupata da una mamma con bambino. Che a un certo punto impugna il cellulare e comincia una conversazione telefonica a voce altissima, letteralmente urlando dentro il telefono. L’interlocutore all’altro capo lo immagino stordito, paralizzato nel gesto di tenere il telefono verso il cielo tentando di disperdere quell’onda inarrestabile di discorsi sparati a un livello di decibel intollerabile. La chiamata continua per quasi tutto il tempo della mia permanenza al parco giochi. Ed è una escalation. La signora in questione si lamenta palesemente del proprio partner descrivendolo, davanti a una platea piuttosto vasta e ignorando che in paesone come Pistoia, nonostante sia stata dichiarata capitale italiana della cultura, la possibilità di trovarsi accanto a un parente, un amico, un conoscente, un impiccione che aspettava solo l’occasione di venire a conoscenza di un particolare segreto da rivelare istantaneamente durante una sessione di gossip a sera tarda al pub, quando la conversazione si fa stanca e non c’è niente di meglio che parlare delle vite altrui, è altissima, come un insopportabile buono a nulla, un grande navigatore di divani, dedito all’alcol. Questo particolare per la signora è importantissimo. Lo investe di grandi aspettative nel suo tentativo telefonico di sputtanare il compagno perché insiste ripetutamente sull’argomento fino ad arrivare all’argomentazione definitiva. “Certe sere beve addirittura un’intera bottiglia” dice con disprezzo. Questo insistere sull’intera bottiglia come unità di misura della dissoluzione umana richiama la mia attenzione fino a quel momento discontinua. E penso in silenzio alcune cose. Prima di tutto spero che sia vino bono ché, si sa, il vino poco buono fa male e comunque intristisce. E poi penso anche che nella lamentazione la signora investe la bottiglia di troppa importanza e comunque a mano a mano che la sua conversazione telefonica procede, e la protagonista si inoltra in territori pericolosi che non ho alcuna intenzione di ascoltare, io intravedo nitidamente 4/5 motivi per cui potrebbe essere il compagno a lamentarsi e 4/5 motivi (gli stessi) per cui lui potrebbe decidere di bersi una bottiglia tutte le sere, anche più di una bottiglia e decidere di darsi anche alla droga pesante. Pensato questo ho cambiato panchina, nonostante la prima fosse all’ombra e in posizione strategica, per raggiungerne un’altra dove non ci fosse l’accompagnamento della telefonata e finire comunque per dover ascoltare la sua telefonata come un elemento dominante, nonostante il vociare dei bimbi, il rumore dei motori in lontananza, qualche clacson, adolescenti rumorosi, uccelli, cani.

paradiso